Quanti di noi, pensando ai carcerati, hanno mai pensato che dietro quelle sbarre potrebbero esserci anche dei disabili? Quanti di noi hanno realizzato di non averci mai pensato, ma che effettivamente esiste anche questa realtà?
Ricordandoci che la disabilità può essere di tante tipologie, da quella fisica a quella mentale, nel 2017, l’1 % dei carcerati in Italia è diversamente abile. Le condizioni delle carceri italiane sono sempre state un tema rovente da trattare, a causa delle condizioni di sovraffollamento e precarie delle strutture stesse, in questo caso per un disabile la pena diventa quindi “doppia”.
La giornalista dell’Espresso, Arianna Giunti, nel 2017 ha provato ad indagare sulle problematiche legate alla detenzione dei disabili a causa dei continui attentanti di suicidio da parte di costoro, dichiarando che “Sono detenuti che non hanno una famiglia o persone che possano garantire loro un domicilio alternativo al carcere, e che quindi devono rimanere a scontare la propria condanna – anche quando minima – fra le mura carcerarie inadatte ad accoglierli. Ad aggravare il problema, poi, c’è la carenza cronica di strutture sanitarie. Si contano sulle dita di una mano, soprattutto quelle per pazienti affetti sia da disabilità fisica che da patologie mentali.
Per altri, invece, il problema è a monte: il Tribunale di sorveglianza respinge le istanze di scarcerazione, anche di fronte a condizioni cliniche oggettivamente gravi. E allora il detenuto si ritrova a dover scontare la propria condanna in condizioni precarie, aggravando la propria salute.”
Inoltre, la giornalista, analizza la situazione italiana informandoci che “Esiste però un unico carcere in tutto il Paese (Parma) privo di barriere architettoniche. Tutti gli altri sono inadeguati. Basti sapere che in tutto San Vittore si conta una sola cella senza scalini e con porte abbastanza larghe da ospitare detenuti su sedia a rotelle. Poi si arriva ai paradossi. Perché alcuni penitenziari vantano invece reparti modello adatti ai disabili, ma mai utilizzati. Come Busto Arsizio (Varese), dove un reparto nuovo di zecca attende ormai da cinque anni di essere inaugurato.”
Nonostante queste condizioni sgradevoli, lo scorso anno si è concluso in Umbria il primo corso di base formativo per “detenuti assistenti di persona”, un progetto sperimentale sviluppato nella Casa Circondariale di Terni e dedicato alle persone in regime di detenzione, che si è rilevato di grande interesse e di utilità vista l’alta adesione dei partecipanti.
Lo scopo di questo progetto è di educare carcerati al ruolo di caregiver, ossia, una figura professionale formata per offrire un servizio di assistenza, supporto e primo soccorso alla persona affetta da qualunque tipologia di disabilità.
Questo progetto, non solo ha portato cambiamenti notevoli nella qualità di vita dei disabili in cella che hanno potuto avere questo sussidio, ma è stato principalmente una grande esperienza di formazione e di “redenzione” per i carcerati che hanno potuto coprire questo ruolo.
Quindi sfatiamo il mito pessimista che dice “Più dai, meno ricevi”, in questo caso abbiamo un grande esempio di come, chiunque, anche le persone che hanno perso la speranza di potersi riscattare nella società perché si sono macchiati di qualche colpa, possono rinascere e cambiare grazie all’aiuto che loro mettono al servizio dei compagni di cella più in difficoltà.
– articolo a cura di Lavinia Fontana