In una famiglia si pensa che l’educazione venga soprattuto da quello che i genitori insegnano e dal loro esempio.
Perché allora le istituzioni italiane, di cui noi cittadini siamo figli, si comportano così male, raccontandoci di diritti, di uguali opportunità, di rispetto e poi sono loro le prime a non rispettare questi principi?
Perché una anziana signora di Voghera, in carrozzina, non può ricorrere al Giudice di Pace, perché nella sua città queso ufficio è inaccessibile?
Perché un ragazzo con disabilità di Garlasco (PV) non può effettuare un tirocinio lavorativo, perché il Comune e il Piano di Zona hanno finito i soldi?
Perché una giovane persona di Pavia con una disabilità grave non può aspirare ad una vita indipendente e quando rimane sola l’unica possibilità che ha è quella di essere ricoverata in una casa di riposo dove il limite minimo di età sarebbe 65 anni?
Diciamo tutto questo non per il gusto di lamentarci, ma piuttosto per richiamare le istituzioni al loro ruolo guida, perché s’impegnino ad essere credibili, a rispettare gli impegni presi. Senza credibilità non si va da nessuna parte.
Ma le istituzioni non sono astratte organizazioni fatte di documenti e carte bollate; dietro ognuna di loro ci sono delle persone che devono ricordarsi di avere una testa, un cervello pensante, una coscienza. Persone che non posso far finta di niente quando davanti a loro c’è un problema da risolvere e trincerarsi dietro circolari e mancanza di fondi.
Noi tutti siamo le istituzioni, sia quando occupiamo attivamente una posizione all’interno di esse, sia quando esercitiamo una funzione di controllo sul loro funzionamento. Quindi quando le cose non vanno non è sempre colpa degli altri ma anche colpa nostra.