“Salvare l’Africa con l’Africa”

Daniele Comboni nacque nel piccolo paese di Limone sul Garda, facente parte allora dell’impero Austro-Ungarico, nel 1831, da un’umile coppia di braccianti che lavorava nella tenuta di un lontano parente presso la località di Tesol, e che abitava nella casa del custode della limonaia. Egli era l’unico sopravvissuto di otto fratelli, e quando ebbe dodici anni si trasferì a Verona per frequentare un collegio per ragazzi meno abbienti, fondato dal sacerdote Nicola Mazza, professore nello stesso; questi infuse in lui così tanto l’amore per l’Africa e lo spirito missionario, da spingerlo a scegliere di dedicare la propria vita a questo continente, e nello specifico alla parte sub-sahariana. Così, nel 1854, a 23 anni, venne anch’egli ordinato sacerdote, dal vescovo di Trento Giovanni Nepomuceno de Tschiderer, dopo aver proficuamente studiato anche le principali lingue europee dell’epoca, cioè Tedesco, Francese e Inglese; e a 26 anni, nel 1857, partì per il suo primo viaggio in Africa centrale, verso l’odierno Sudan, insieme ad altri cinque missionari.

Il gruppo giunse a Khartoum dopo quattro mesi, per raggiungere infine la stazione missionaria di Santa Croce, dopo aver risalito il corso del Nilo bianco: il viaggio non fu affatto facile, a causa della mancanza di mappe certe e mezzi di trasporto moderni, senza contare il caldo e le malattie provocate dalle punture d’insetti o dal consumo di cibo e acqua provenienti da fonti contaminate; fu così che Daniele, ammalatosi di Malaria, dovette rientrare in Italia, nel 1859. Nonostante ciò, continuò anche da qui la sua opera, ottenendo l’incarico per la “formazione dei ragazzi africani riscattati dalla schiavitù”. E incredibilmente riuscì a formare dizionari e grammatica delle lingue africane non scritte con le quali era venuto a contatto.

In seguito, nel 1864, a 33 anni, mentre si trovava in preghiera a Roma presso la tomba di San Pietro, concepì il suo famoso “Piano per la rigenerazione dell’Africa mediante l’Africa stessa”, proseguendo così il progetto del suo maestro Nicola Mazza di “salvare l’Africa con l’Africa”: Comboni nutriva infatti un’infinita fiducia nella capacità di riscatto socio-culturale dei popoli africani, e si prefisse lo scopo di fondare scuole in cui formare medici e insegnanti, nonché preti e suore del posto, votati a tale causa.

Poi, nel 1865, rimase solo, poiché Don Nicola Mazza morì, e l’istituto da questi fondato dovette chiudere, a causa sia di difficoltà finanziarie che di demotivazione da parte di tanti che avevano perso fiducia nella missione. Tuttavia lui non si scoraggiò, e intraprese un grande viaggio di animazione missionaria in Europa, trovando efficaci finanziamenti nella città di Colonia, in Germania; sua ferma volontà era infatti che il suo “Piano” assumesse una connotazione unica ed europea, e che inoltre mirasse non ad “occidentalizzare” l’Africa, quanto, invece, a “rigenerarla” con le proprie tradizioni e culture.

 Nel 1867, fondò quindi a Verona l’istituto che in seguito avrebbe preso il nome di “Missionari Comboniani del Cuore di Gesù”, e che divenne un punto di riferimento per quei missionari che intendevano proseguire la loro opera nonostante le difficoltà insorte; e parallelamente, nel 1872, quello delle “Suore Missionarie Pie Madri della Nigrizia” -altro nome con il quale all’epoca si chiamava l’Africa- il primo istituto missionario femminile della storia. Nello stesso anno, il papa di allora, Pio 9°, affidò ai Comboniani la missione in Africa centrale, nominando Daniele Comboni Vicario Apostolico di questa.

Nel 1873 egli fece dunque il suo ingresso a Khartoum, impegnandosi al massimo nel suo “Piano”. E qui infine morì, in seguito ad un’epidemia di Colera; ma combattendo fino all’ultimo contro i potentati locali, la schiavitù e la tratta degli esseri umani, e dopo aver dedicato a tutto ciò la sua intera vita.

Vittoria Montemezzo

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