Vi riportiamo alcuni estratti da un interessante articolo originariamente pubblicato sul sito Open:

Secondo uno studio dell’Istituto Mario Negri di Milano, i calciatori professionisti si ammalano due volte di più della popolazione generale. Per chi gioca in serie A il rischio è ancora più alto. Il professore Ettore Beghi ha spiegato a Open quali sono le cause.

In media, i calciatori professionisti si ammalano di Sclerosi laterale amiotrofica (Sla) due volte di più rispetto alla popolazione generale e 6 volte di più per quanto riguarda i calciatori di serie A. Lo dimostra uno studio epidemiologico, condotto dai ricercatori dell’Istituto Mario Negri di Milano e presentato al meeting annuale dell’American Academy of Neurology, in svolgimento negli Usa, a Philadelphia.

Il dottor Ettore Beghi, responsabile del Laboratorio di Malattie Neurologiche dell’Istituto Mario Negri, ha spiegato a Open come è stato condotto lo studio e quali potrebbero essere le cause dei risultati a cui sono giunti i ricercatori.

«Abbiamo creato quella che chiamiamo tecnicamente “una corte” di ex calciatori, andando a ricostruire le loro carriere, consultando gli album della Panini, vedendo quanti di questi soggetti avessero poi sviluppato la Sla e confrontandoli con persone che non avevano praticato il calcio, che erano il resto della popolazione. Facendo questo abbiamo visto che il rischio per gli ex calciatori è doppio.

L’informazione più importante che abbiamo ricavato è che se ad ammalarsi di Sla è un ex calciatore, questa persona si ammala molto prima di quella che è l’età abituale di insorgenza della malattia. Con un divario che è di circa di vent’anni. A questo punto noi abbiamo dedotto che essendo la Sla una malattia che risulta da un inseme di fattori, alcuni genetici (quindi una predisposizione) e altri esterni, ci siamo fatti l’idea che in soggetti predisposti (che erano quelli che si sono ammalati di Sla fra gli ex calciatori) il calcio abbia in qualche modo non solo creato un maggior rischio, ma un’anticipazione dell’esordio dei sintomi». 

L’entità del rischio (doppio, triplo, quadruplo) è comunque da rapportare alla rarità della malattia. Cosa vuol dire? Che se una persona, per caso, si ammala di Sla, il suo rischio e di due/tre casi per centomila persone ogni anno: questo è il valore che emerge dagli studi di incidenza. Con un rischio doppio, triplo o quadruplo, si va a raddoppiare o triplicare questo numero. Quindi si sale a quattro su centomila o sei su centomila. C’è un rischio, ma si rimane sempre nell’ambito di una probabilità abbastanza bassa di insorgenza della malattia. Perché nella Serie A sia così alto rispetto alle altre serie non glielo so dire. 

Il calcio può comportare un danno ai motoneuroni sostanzialmente per tre motivi:

1) la ripetività dei traumi, in particolare dei traumi cranici. C’è un grosso dibattito negli Stati Uniti per quanto riguarda il Football americano e l’importanza degli eventi traumatici nel determinare quella che viene chiamata encefalopatia traumatica. Noi stessi, in un passato recente, abbiamo dimostrato, confrontando ammalati di Sla e una popolazione di controllo, che chi si ammala di Sla riporta nella nostra anamnesi una storia di traumatismi di una certa importanza, e di traumatismi multipli, più frequente rispetto a un soggetto che non si è ammalato di Sla. Quindi i traumi, se ripetuti e se cranici, potrebbero rappresentare un fattore di rischio.

2) c’è poi molta discussione nella nostra letteratura scientifica su quanto importi un esercizio fisico molto, molto spinto. Qui i dati sono un po’ più controversi. Ci sono studi che hanno fatto vedere che l’esercizio fisico è un fattore di rischio, altri invece, come uno studio fatto da noi, che sembra essere protettivo. Noi stessi abbiamo dimostrato che l’esercizio fisico nella popolazione fa bene, ma in un soggetto che poi si ammala di Sla rappresenta un fattore di anticipazione dei sintomi. Ed è quello che abbiamo visto nel nostro studio. 

3) un terzo fattore – su cui però esiste ancora molta discussione e non ci sono molte prove – è l’utilizzo di farmaci antinfiammatori. Si è visto che alcuni di questi farmaci hanno delle molecole che sono simili a diserbanti e sono utilizzati sui campi di calcio, che sono a loro volta dannosi per i moto neuroni. Anche questo potrebbe essere un fattore da considerare, anche se, come le dicevo, l’evidenza scientifica che sta dietro non è particolarmente forte. 

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Non ci sono elementi per poter dire che il doping sia una delle cause. Se però intendiamo anche l’assunzione di sostanze che servono a irrobustire la muscolatura, come gli aminoacidi ramificati, qualcosa si è visto. Noi, tanti anni fa, abbiamo fatto uno studio in cui abbiamo voluto vedere che effetti avesse sulla malattia l’uso di queste sostanze, sulla base di uno studio precedente che aveva visto che questi aminoacidi ramificati sembravano essere utili nel rallentare la progressione della malattia.

In realtà abbiamo dovuto sospendere lo studio perché nel braccio dei pazienti che assumevano gli aminoacidi si era visto che la mortalità era maggiore. Non sappiamo se la causa fossero gli aminoacidi o qualche atro fattore di cui non avevamo tenuto conto però questo è un motivo di riflessione per dire che gli aminoacidi potrebbero magari in qualche modo, in soggetti predisposti, anticipare l’esordio della malattia.

Anche l’Alzheimer avrebbe nella patologia traumatica un fattore di rischio. Per cui, Parkinson e Alzheimer sono malattie che hanno degli elementi in comune – il processo degenerativo del sistema nervoso – andando a studiare un’esposizione a traumi, un’esposizione all’esercizio fisico strenua e vedere che questo si accompagna, non solo a una più precoce insorgenza di Sla, ma anche a un aumentato del rischio per queste altre patologie, per noi è un grosso risultato perché ci aiuta a capire meglio il meccanismo di queste malattie.» 

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Cari amici di Concrete Onlus,

per questo mese vorremmo rendere omaggio al grandissimo Nicola Dutto, campione di motociclismo paraplegico, per la sua grande ultima impresa sportiva augurandoci sopratutto che possa essere un esempio per come affrontare le difficoltà della vita.

La carriera di Dutto vanta un importante Palmares di vittorie dal campionato di Spagna di Rally TT nel 2004 al campionato Italiano Baja nel 2009.

20 marzo 2010, Pordenone: Dutto si trova alla prima prova speciale del campionato europeo Baja ma, arrivato all’altezza del fiume Tagliamento, non vede una pietra nascosta nella sabbia e cade così dalla moto ad una velocità di 150 km/h. Il pilota cuneese riporta la frattura della settima vertebra dorsale ed è costretto da quel momento in poi a muoversi su una sedia a rotelle. 

Ecco come le due ruote possano fare molto male, ma bisogna avere il coraggio di rialzarsi. Dutto ha saputo lavorare instancabilmente raggiungendo un obiettivo per molti impensabile: nel gennaio 2019 è stato il primo pilota paraplegico a prendere parte al Rally-Raid Dakar, definita la competizione più famosa nonché più difficile e pericolosa del mondo.

“Non ho mai odiato la moto o rinnegato quello che ho fatto. Mi reputo un ragazzo fortunato perché ho potuto trasformare una passione in una professione, con tutti i rischi del mestiere. Quando sono in sella mi dimentico di non poter usare le gambe. La moto mi ha spezzato, ma mi ha salvato.” Sono queste le parole che usa Nicola Dutto che ognuno di noi può far sua baluardo contro le difficoltà della vita.

Articolo a cura di Lucio Fontana

Quando ho iniziato a giocare a pallavolo in carrozzina non avevo una carrozzina super leggera come i miei compagni, ma una “leggera”, se così si poteva definire, dato che ogni volta che volevo andare in giro mi trovavo a dover rompere le scatole a qualcuno, perché da sola era ingestibile tirarla giù dalla macchina.

Purtroppo, la mia ex fisiatra non mi ha mai prescritto l’uso della carrozzina super leggera, ma solo di quella leggera, perché cammino (i grandi misteri della vita), e questo mi portava disagio e difficoltà nei movimenti.

L’anno scorso ho cominciato a giocare a pallavolo in carrozzina con Volley a 4 Ruote, ma mi sono trovata inizialmente in maggiore difficoltà rispetto ai miei compagni di squadra, perché, oltre a non essere abituata a muovermi da sola in carrozzina, la mia era anche più pesante rispetto a quelle sportive e super leggere dei miei compagni.

Volley a 4 Ruote! Ve lo ricordate? Ve ne abbiamo parlato qui!

Parlandone con una delle mie compagne, in particolare la mia migliore amica mi è venuta incontro regalandomi la sua, perché le doveva arrivare quella nuova e al posto di buttarla (dato che era ancora in buono stato) ha preferito cederla a me.

Il passo successivo è stato quello di farmi conoscere la sua fisiatra e, dopo varie pratiche burocratiche e la scelta dei vari materiali e del colore, ecco che finalmente pure io ho la mia carrozzina super leggera!

Beh, che dire, la mia vita quotidiana è cambiata: sono molto più attiva da quando ho la mia super leggera e mi sono già ribaltata una volta… anzi due! Ma fa parte del pacchetto!

Un mio compagno di squadra mi ha insegnato che se la carrozzina non la uso tutti i giorni le ruote gonfiabili tendono a sgonfiarsi. Quindi cerco di usarla con costanza e faccio attenzione alla manutenzione.

Articolo a cura di Maria Rosa Stassi

Ogni quattro anni, nel mese di giugno, si da l’inizio ad uno degli eventi più attesi, seguiti ed amati di sempre: i Mondiali di calcio. Non c’è persona di età, sesso, entnia, religione, stato sociale che non abbia la tentazione di mettersi davanti allo schermo e guardare il mondo sfidarsi a suon di goal.

Ahimè, quest’anno gli italiani dovranno puntare su altre squadre a causa della mancata qualifica, ma non per molto, non tutti gli azzurri sono rimasti a casa: ad ottobre, l’Italia potrà ancora sperare di festeggiare come fece nel 2006, grazie al quinto posto ottenuto dalla nazionale di calcio degli amputati del CSI nel Campionato Europeo promosso dalla EAFF (European Amputee Football Federation) tenutosi in Turchia nell’autunno passato, che gli ha permesso di prendersi un posto ai mondiali 2018.
Dal 30 novembre al 7 dicembre 2018 il popolo italico potrà tornare a cantare l’inno di Mameli tifando gLli azzuri ai Mondiali di Calcio per Amputati, organizzati in Messico (a Culiacan) dalla WAFF (World Amputee Football Federation).

Per non farci trovare impreparati ecco alcune nozioni tecniche sulla squadra e le regole:
Le partite di calcio prevedono 7 professionisti in campo che giocheranno in due tempi di 25’ ciascuno; in totale parteciperanno 23 squadre; l’Italia è inserita nel Gruppo B con Messico, Polonia e Georgia.
Sono 12 i convocati azzurri per il Messico dal ct Renzo Vergnani: Daniel Priami, Riccardo Tondi, Luca Zavatti, Arturo Mariani, Gianni Sasso, Emanuele Padoan, Francesco Messori, Salvatore La Manna, Emanuele Leone, Stefano Starvaggi, Paolo Capasso, Salvatore Iudica. Oltre a loro volerà in Messico anche un arbitro del CSI, Marco Moreni.

Oltre che a voler tener alta l’astra del tricolore nel mondo calcistico internazionale, ognuno di loro ha trovato in questa iniziativa la possibilità di riscattarsi, raccontare la propria storia e mostrare al mondo che c’è tanto che non conosciamo ancora, ad esempio Daniel Priami, uno dei portieri più forti d’Europa, che il giorno prima di esordire in Serie D a 17 anni si ruppe radio e ulna: a causa di un’infezione i medici furono costretti ad amputargli il braccio, oltre al sogno di diventare un calciatore professionista; il calcio gli tolse tanto ma riuscì anche a ridargli la speranza, la passione e l’amore per la vita e di poter vedere il suo sogno di entrare nella nazionale esaudirsi.

La speranza di cantare “Popopopopopopo” non è stata rimandata ai prossimi mondiali tra quattro anni, ma solo a qualche mese di distanza, quindi a novembre, sosteniamo i nostri campioni azzurri E soprattutto apriamo i nostri orizzonti alla scoperta di un nuovo modo di giocare.

STAMPELLE AZZURRE, FATECI SOGNARE!

– articolo a cura di Lavinia Fontana

Domenica 17 Giugno siamo stati ospiti di AVAS (Associazione Velica Alto Sebino) a Lovere per una giornata di barca a vela accessibile. Con noi era presente anche Eleonora di Volley a Quattro Ruote. È stata una splendida avventura e questo è il racconto della nostra esperienza.

Arrivare a Lovere purtroppo non è stato molto agevole, poiché proprio quella domenica mattina si teneva una gara di corsa ad Endine, lungo la strada, portandoci a fare un’avventurosa deviazione lungo il fianco della montagna.
Appena giunte a destinazione, siamo subito state accolte da Stefano, nostro contatto, membro dell’organizzazione e vicepresidente della Polisportiva Disabili Valcamonica (anche loro partecipanti all’evento), che ci ha mostrato lo stallo riservato ai disabili dove poter parcheggiare comodamente l’auto e poi ci ha accompagnato all’accoglienza. Dopo essere state registrate, ci è stato consegnato un giubbotto salvagente a testa e poi ci siamo recate sul molo per la lezione teorica, necessaria a salire preparate a bordo delle imbarcazioni nel pomeriggio.

Durante la formazione mattutina ci sono stati insegnati i termini tecnici di base che occorre sapere quando si è a bordo di una barca a vela, compresi i nomi delle varie parti della barca, inoltre ci è stato spiegato anche come ci si comporta a bordo e le regole base della navigazione per sapere come comportarsi quando si incrociano altre imbarcazioni sulla propria rotta. Poi è stata fatta provare a tutti una prima breve esperienza a bordo di una superficie in movimento come può essere la coperta di una barca. Sia le persone in grado di stare in piedi che quelle in carrozzina hanno potuto provare a salire sulla barca, guidati attentamente dai volontari dell’AVAS.
Al termine della lezione teorica, ci siamo riuniti nell’hangar dell’associazione per pranzare tutti insieme con un pasto leggero ma ottimo, sempre offerto da AVAS. Nonostante fossimo davvero in moltissimi tra disabili ed accompagnatori, l’organizzazione di tutti i momenti della giornata è stata ottima. Abbiamo anche avuto la fortuna di trovare una giornata perfetta per navigare: soleggiata e con una leggera brezza al mattino, che nel pomeriggio si è sollevata in un vento un po’ più consistente grazie alle correnti fredde che scendevano dai temporali estivi sul fianco delle vicine montagne.

Essendo in molti, per l’effettiva uscita in barca a vela siamo stati divisi in due turni, in modo che tutti avessero la possibilità di provare a fare un giro sul lago. Noi siamo state assegnate al secondo turno e siamo salite a bordo di una barca a vela modello Surprise. Il nostro capitano, Giorgio, è un veterano della barca a vela (ed è ancora campione europeo, su diversi modelli di barca), passione mai abbandonata, nemmeno dopo un incidente che lo ha portato ad avere la gamba destra sostituita da una protesi: si muove con sicurezza e naturalezza a bordo dell’imbarcazione, si vede che è proprio nel suo elemento.

Giorgio ci spiega e ci insegna moltissime cose ponendoci continue domande e spronandoci a trovare da sole le risposte: è così che impariamo a governare il timone e a regolare la randa, ad orientarci sulla superficie del lago, a riconoscere i diversi tipi di nuvole (e che tipo di perturbazioni esse portino con sé) e a prevedere l’arrivo di una raffica di vento osservando le increspature sulla superficie del lago. A bordo della barca a vela tutti fanno parte dell’equipaggio ed ogni persona ha un ruolo importante. Dopo una decina di minuti di navigazione “guidata”, ci lascia condurre la barca in autonomia, dandoci solo qualche indicazione ogni tanto.
Arriva il momento di rientrare, ma Giorgio vuole fare le cose in grande stile, allora si fa lasciare timone e la scotta e, governando la barca in completa autonomia, ci mostra come andare a “dare fastidio” ad altre imbarcazioni: punta deciso come uno squalo la barca governata da Stefano e comincia a girarci intorno più volte, accelerando e rallentando, sfruttando le raffiche di vento e costringendo il compagno di squadra a fermarsi. Nel frattempo ci spiega come quando si naviga ed entra in gioco questo tipo di competizione giocosa ci si diverta molto, ed allo stesso tempo si migliori sempre più nel condurre la barca nella maniera migliore possibile, cosa molto utile specialmente in regata.
Dopo essere rientrati in porto ed aver attraccato, ci siamo riuniti ancora una volta nell’hangar per fare merenda tutti insieme con una fettona di anguria e qualche pezzetto di torta. Poi è arrivato il momento della foto di gruppo e dei saluti.

È stata una giornata tanto splendida quanto stancante, ma ne è valsa tutta la pena. Lungo la strada del ritorno (fortunatamente normale, essendo terminata la gara podistica) siamo spossate, ma molto felici. Grazie ancora all’AVAS per la meravigliosa avventura che ci ha permesso di vivere! È un’esperienza che consigliamo a tutti voi di provare e che non vediamo l’ora di ripetere!