Il gioco rappresenta un aspetto fondamentale della vita, essenziale per lo sviluppo personale e sociale a tutte le età. Svolge un ruolo vitale non solo per i bambini normodotati, ma anche per quelli con disabilità, incluse persone di tutte le età, dai preadolescenti agli anziani.

Più che un semplice passatempo, il gioco offre una preziosa opportunità educativa e terapeutica, adattabile alle diverse necessità di chi vive con disabilità. È essenziale che educatori e terapisti comprendano approfonditamente il livello di apprendimento e le esigenze specifiche del singolo, per poter selezionare le attività più appropriate.

Le opzioni ludiche disponibili sono varie, spaziando dai giochi tattili e visivi a quelli uditivi e di memoria, inclusi i videogiochi. La selezione di un gioco adatto dipende dalla tipologia di disabilità—intellettiva, sensoriale o motoria—dall’età e dalle capacità di apprendimento dell’individuo.

L’intervento di un’équipe medico-socio-educativa, con il supporto dei familiari, è cruciale per garantire un approccio integrato e personalizzato al gioco. Esistono molti strumenti e spazi dedicati al gioco inclusivo, come giochi da tavolo specialmente adattati, videogiochi accessibili e parchi ludico-ricreativi progettati per essere fruibili da tutti.

In definitiva, il gioco non solo è un diritto, ma si configura anche come un potente mezzo di inclusione e sviluppo personale, accessibile a persone di tutte le abilità e di ogni età.

Cristina Zangone

Il Ministro per la Disabilità, Alessandra Locatelli, unitamente ai Ministri del Lavoro e delle Politiche Sociali, Marina Elvira Calderone, dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, e del Turismo, Daniela Garnero Santanché, ha annunciato la firma del decreto che destina 50 milioni di euro del Fondo Unico per l’inclusione delle persone con disabilità al settore del turismo. Questi fondi sono volti a migliorare l’accessibilità turistica in Italia, garantendo che le infrastrutture turistiche siano accessibili a tutti.

Le risorse del Fondo Unico per il turismo accessibile saranno distribuite tra le regioni italiane, incaricate di identificare e intervenire nelle aree che richiedono miglioramenti significativi nell’accessibilità. Le regioni potranno gestire i fondi autonomamente o in collaborazione con enti pubblici e organizzazioni del terzo settore.

Il decreto include anche provvedimenti per l’avviamento di tirocini formativi destinati a persone con disabilità, con lo scopo di favorire la loro inclusione lavorativa e salvaguardare i loro diritti. Questa iniziativa mira a creare un ambiente turistico che rispetti i principi di accessibilità universale, in linea con gli obiettivi della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.

La Ministra Locatelli ha ringraziato i ministri coinvolti per la loro collaborazione e ha sottolineato l’importanza di un impegno congiunto per rendere l’Italia una destinazione turistica accessibile e inclusiva.

Cristina Zangone

Storicamente, la disabilità è stata oggetto di misconcezioni e stigmatizzazioni profondamente radicate nella società. Durante l’era romana e medievale, ad esempio, le persone con disabilità venivano spesso marginalizzate o nascoste, percepite come un segno di disgrazia. Tuttavia, a partire dal Settecento, si assiste a un cambiamento significativo nell’atteggiamento sociale, grazie all’interesse crescente di medici e filosofi che hanno iniziato a promuovere una visione più umana e inclusiva.

Il periodo della Seconda Guerra Mondiale rappresenta un’epoca buia per le persone con disabilità, con il regime nazista che le etichettava come “vite indegne di essere vissute” e perpetrava contro di loro atti di genocidio. Questi eventi tragici hanno lasciato cicatrici durature nella memoria collettiva e hanno complicato i progressi verso l’inclusione.

Negli anni successivi alla guerra, la mentalità riguardo alla disabilità ha iniziato lentamente a evolversi. La società ha cominciato a comprendere che le aspirazioni delle persone con disabilità non differiscono da quelle degli altri; desiderano una vita piena e realizzata. Nonostante ciò, sia le barriere fisiche che quelle ideologiche continuano a limitare la loro piena partecipazione alla vita sociale.

Le persone con disabilità sono spesso soggette a stereotipi, ma hanno molto da offrire, come l’affetto e le lezioni di pazienza. Le loro vite sono ricche e diverse quanto quelle di chiunque altro, con una gamma completa di emozioni, personalità e comportamenti.

Tuttavia, restano significative le sfide nell’abbattere le barriere ideologiche che persistono, impedendo un’autentica inclusione. L’inclusione non dovrebbe essere vista come un dono condiscendente, ma come un diritto fondamentale. Solo eliminando completamente questi ostacoli, e accettando tutte le persone, indipendentemente dalle loro capacità, si può aspirare a una società veramente giusta e bella.

Cristina Zangone

Il gioco rappresenta un elemento vitale dello sviluppo umano e sociale, essenziale a tutte le età. È particolarmente cruciale per il benessere e la crescita di bambini e adulti, inclusi coloro che presentano disabilità, indipendentemente dal loro stadio di vita. Più che un semplice svago, il gioco offre opportunità educative e terapeutiche adattabili alle esigenze di ciascuno.

Educatori e terapisti, insieme a chi si occupa di assistenza, devono essere consapevoli dei livelli di apprendimento e delle necessità individuali delle persone con disabilità, per poter selezionare le attività più adeguate. I giochi disponibili variano ampiamente e includono opzioni tattili, visive, uditive, di memoria e persino videogiochi, scelti in base al tipo di disabilità, all’età e alle capacità cognitive dell’individuo.

La collaborazione tra l’équipe medico-educativa e i familiari è fondamentale per un approccio olistico e personalizzato. Numerosi sono gli strumenti e gli spazi dedicati a rendere il gioco un’esperienza inclusiva, come giochi da tavolo modificati, videogiochi accessibili e parchi ricreativi progettati per essere fruibili da tutti.

In sintesi, il gioco non solo è un diritto fondamentale, ma rappresenta anche un potente mezzo di inclusione e sviluppo personale, essenziale per garantire che ogni individuo, a prescindere dalle proprie capacità o età, possa godere pienamente delle opportunità che il gioco offre.

Cristina Zangone

Il dialetto della Valle d’Aosta è in realtà una lingua ancora viva, vivace e diffusa: il “Patois”; esso è parlato comunemente non solo dalle popolazioni valdostane intorno al Monte Bianco, ma anche da quelle della Svizzera romanda, cioè francofona, dai Savoiardi e dagli abitanti di alcune vallate del Piemonte occidentale. Si tratta di una lingua Francoprovenzale, cioè una lingua neo-latina, che, insieme al Francese, detto anche “langue d’oil”, e al Provenzale Occitano, o “langue d’oc”, appartiene al gruppo “Galloromanzo”; in essa si ritrovano alcuni elementi comuni al Francese e altri al Provenzale, oltre ad alcune caratteristiche sue proprie. Viene considerato una lingua più arcaica rispetto al Francese, dal quale si sarebbe separato, sviluppandosi in particolare nella zona attorno alla città di Lione, alla fine dell’epoca merovingia o all’inizio della carolingia; dopodiché si sarebbe arrestato, mentre il Francese avrebbe proseguito la sua evoluzione.

In Val d’Aosta esso si è poi notevolmente “frammentato” nei vari comuni, al punto che ad oggi esistono “tanti patois quanti sono i campanili”! Inoltre ha mantenuto alcuni elementi prelatini di origine celtica, come ad esempio la parola “modze”= “giovenca”, “barma”= “grotta, riparo naturale sotto una roccia”, “breuil”= “piano lacustre, paludoso”; oppure radicali come “dor”= “acqua corrente”, da cui il nome del fiume principale che attraversa la Val d’Aosta, la Dora, o “tsa”= “pascolo elevato, soleggiato”; c’è anche la parola “tsalende” o “tchalénde”, direttamente dal Latino “Calende”, per indicare il Natale -sebbene per i Latini, nello specifico, indicasse in realtà i primi giorni di un mese o dell’anno.

Ci fu poi una persona dallo spirito curioso, “pioniere” della dialettologia, che, a fine ottocento, si occupò di sistematizzare il Patois Valdostano in una grammatica e in un dizionario: il curato Jean Baptiste Cerlogne, ancora oggi un punto di riferimento per gli studiosi di Francoprovenzale. Di umili origini, egli seppe trarre poesie dai toni lirici dalla sua esperienza di contadino e spazzacamino, descrivendo in questa sua lingua madre scene di vita quotidiana e pastorale, come nella “Bataille di vatse a Vertosan”: qui viene narrata per la prima volta la famosa “Bataille de Reines”, cioè la “Battaglia di Regine”, una manifestazione folcloristica, molto sentita in alcune regioni alpine in Svizzera, Francia e Italia, che si svolge annualmente tra Estate e Autunno in Val d’Aosta e Piemonte: essa consiste in un combattimento incruento tra mucche gravide. Le razze di mucche più adatte alla competizione sono la Valdostana Pezzata Rossa -inoltre grande produttrice di latte-, introdotta in Val d’Aosta addirittura alla fine del 5°secolo, la Valdostana Pezzata Nera e quella Castana; quest’ultima, “cugina” della Hérens del Vallese (uno dei cantoni svizzeri), si contraddistingue per il suo temperamento bellicoso. In realtà le lotte di questi animali avvengono spontaneamente anche in natura, in occasione di una mescolanza interna ad una mandria o tra più mandrie; in genere, alla fine, la mucca sconfitta si allontana, cedendo il passo alla rivale più forte. In Valle d’Aosta il torneo, ad eliminazione diretta, si svolge ogni Domenica tra Marzo e Giugno, prima della salita agli alpeggi del periodo estivo; si giunge così al “Combat Final” = il “Combattimento Finale”, l’ultima Domenica di Ottobre, ad Aosta, alla Croix Noire, un’arena apposita alle porte della città, al termine del quale viene eletta  la “Reine de Corne” = la “Regina di Corna”: essa riceverà quindi in premio il “Bosquet”, una composizione di fiori in cartapesta rossa, nonché un bel campanaccio in cuoio. Questa tradizione attrae ogni anno in città migliaia di spettatori: è insomma una vera e propria festa, durante la quale sembrano riecheggiare nelle orecchie i versi della celebre poesia di Cerlogne:

“Un bel giorno di Luglio[…]/da Aosta parto alle prime luci del mattino,/Portando con me: salame, pane bianco, fontina,/E un po’ di quel succo che si fa nel tino,/[…]/Lì, chi da una parte chiama e chi dall’altra grida/Hoé! hoé, partiamo, amici?/Si prepara una grande battaglia di mucche;/[…]/Presto già sento che le vette aguzze/Rispondono tutt’intorno ai fischi dei mandriani./Nei prati fioriti che un’acqua pura irrora/Sotto l’erba nascosto canta il grillo./Dal cespuglio all’abete si posa il pettirosso,/Regalando ai passanti le sue più belle canzoni./Di lontano si vede che al Breuil fanno rientrare le mucche sazie,/Che già correvano, sentendo il caldo del giorno;/Attraverso il pianoro dove il ruscello gironzola/Dividendolo con le sue svolte./Giungendo al Breuil ho visto, come in un giorno di festa,/Tutti ben vestiti dai piedi alla testa./[…] Vittoria Montemezzo