Ieri sono passato dopo quasi due mesi al Biffi di Corso Magenta a Milano e ho notato che NULLA E’ CAMBIATO: il ragazzo dei caffè è sempre al suo posto, con i capelli rasati e un modo di fare altamente scostante. Mi è tornata in mente la scena che abbiamo vissuto quasi due mesi fa con Mambi e Issa, due ragazzi del Mali che lavorano a La Casa Del Riuso.

Due mesi fa: 

Stamattina mi sono recato con due collaboratori alla pasticceria Biffi di corso Magenta, per prendere un caffè prima di iniziare un lavoro. Dopo aver pagato alla cassa, ci siamo avvicinati al banco per prendere le ordinazioni: tre caffè. Immediatamente i miei collaboratori sono stati apostrofati dal ragazzo incaricato di preparare i caffè: “Voi due fuori!”.

Preciso che sono presidente di un’associazione che si fa carico di inserimenti sociali e lavorativi di persone in difficoltà e che le persone apostrofate in modo molto brusco e assolutamente sconveniente e villano, sono due ragazzi che si sono inseriti nella comunità italiana, provenienti dal Mali. Ovviamente con il colore della pelle molto scuro e in abiti da lavoro. Forse se fossero entrati con un completo grigio e una valigetta 24 ore sarebbero stati accolti con benevolenza.

La mia risposta è stata immediata, precisando, E MI RENDO CONTO DI AVERE SBAGLIATO, “Guardi che sono con me!”. Avrei dovuto dire: “Guardi che sono due clienti che aspettano l’ordinazione!”.

Il ragazzotto, con taglio di capelli simile ad uno skinhead, con scriminatura sottolineata sulla sinistra, si è girato verso la macchina del caffè, ha subìto le mie proteste e, purtroppo, gli improperi che mi sono usciti automaticamente dalla bocca, e ha SERVITO TUTTI GLI AVVENTORI PRIMA DI SERVIRE I DUE RAGAZZI MALIANI, lasciandomi per ultimo. Il ragazzotto ha poi peggiorato in modo incredibile la situazione, esprimendosi in questo modo rivolto solo a me: “Le chiedo scusa”.

A quel punto non ci ho visto più e sono sbottato in una serie di esclamazioni molto pittoresche, che per succo hanno avuto: “NON DEVI CHIEDERE SCUSA A ME, MA DOVRESTI USCIRE DAL BANCO E CHIEDERE UMILMENTE PERDONO A LORO!”. Ho notato molti degli avventori che erano assolutamente in accordo con le mie rimostranze e in disaccordo completo con il ragazzo dei caffè, mentre la cassiera e il personale restante non ha battuto ciglio.

Mi chiedo però per quanto tempo dovremo sopportare delle angherie simili e, ricordiamoci, che in questo modo è iniziata anche la violenza contro etnie differenti e reputate MENO degne di calpestare il suolo dei bianchi. Tra quanti giorni autobus cinema e teatri con sedili discriminati per i negri, dato che già esistono bar in cui NON SONO ACCETTATE PERSONE con colore della pelle diverso dal nostro? “

Articolo a cura di Massimo Ferrario

Fondatore de La Casa del Riuso

La Casa del Riuso è un’associazione senza scopo di lucro nata a Rozzano nel 2013.
La nostra mission è creare valore condiviso dando nuova vita alle cose, sostenendo il lavoro e la dignità delle persone.

Crediamo che ogni persona meriti una seconda opportunità: per questo siamo impegnati nel reinserimento lavorativo, dando la possibilità a chi collabora con noi di imparare un mestiere e di essere di nuovo competitivo sul mercato del lavoro.

Crediamo che anche gli oggetti meritino una seconda vita: per questo recuperiamo e ricicliamomateriali di scarto, mobili e complementi di arredo, li rinnoviamo e li rimettiamo sul mercato a prezzi ribassati. Diamo loro una nuova forma, aiutiamo l’ambiente e permettiamo a chi è in difficoltà di arredare casa.

La visione degli oggetti in vendita è possibile tutti i pomeriggi dalle 14,30 alle 18,00 ed il sabato dalle 10,00 alle 12,00 e dalle 15,00 alle 18,00, presso il capannone in Via Ariosto 20 a Rozzano.

Per appuntamenti si può contattare il numero 328 6080032 oppure mandare una mail all’indirizzo: info@lacasadelriuso.com

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Il lavoratore che assiste una persona disabile , ha il diritto di essere trasferito in una sede più vicina al domicilio della persona presso la quale presta assistenza.

La possibilità di poter scegliere di lavorare nella sede più vicina al familiare da assistere, non vale solo per l’inizio del rapporto lavorativo, ma anche durante lo svolgimento dello stesso, anche in seguito a trasferimento.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione in una recente sentenza.

Il caso nasce dal ricorso di un lavoratore che aveva chiesto al proprio datore di lavoro di poter scegliere la sede lavorativa più vicina al comune presso il quale viveva la sorella che necessitava assistenza.

Il datore di lavoro aveva rifiutato e da qui è cominciato l’iter giuridico.

La prima sentenza era stata negativa, anche se il giudice aveva ordinato il trasferimento del lavoratore in una delle sedi disponibili vicino al comune dove abitava la sorella, ma la Corte d’Appello aveva dato ragione al lavoratore.

Decisione confermata dalla Cassazione.

La Corte ha sottolineato che il diritto di un “genitore o familiare lavoratore che assista con continuità un parente o un affine, entro il terzo grado, handicappato, ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio.

E’ applicabile non solo all’inizio del rapporto di lavoro mediante la scelta della sede ove viene svolta l’attività lavorativa, ma anche nel corso del rapporto, mediante domanda di trasferimento.

La ratio della norma è infatti quella di favorire l’assistenza al parente o affine handicappato, ed è irrilevante, a tal fine, se tale esigenza sorga nel corso del rapporto o sia presente all’epoca dell’inizio del rapporto stesso”.

Inoltre, “circoscrivere l’agevolazione in favore dei familiari della persona disabile al solo momento della scelta iniziale della sede di lavoro, come preteso dalla società ricorrente, equivarrebbe a tagliare fuori dall’ambito di tutela tutti i casi di sopravvenute esigenze di assistenza, in modo del tutto irrazionale e con compromissione dei beni fondamentali richiamati nelle pronunce della Corte Costituzionale”.

Articolo a cura del Dr. Lorenzo Edera – ASST Pavia

(Fonte Studio Cataldi – Quotidiano Giuridico)

Se la fede si misurasse dal rispetto dei precetti delle religioni, probabilmente saremmo tutti atei, oppure, se per essere sportivi bastasse guardare i programmi televisioni dedicati allo sport, molti di noi sarebbero dei grandi atleti.

Così, purtroppo, è anche per lo Stato, troppe volte confuso e nascosto, offuscato, frainteso con la burocrazia. Una burocrazia che ci soffoca, ci assilla, si autoriproduce, che non ha più una finalità pratica, se non quella di annientare il cittadino e di far sentire importante chi in quel momento sta seduto dall’altra parte della scrivania.

E questo è ancor più ridicolo, perchè chi è in questa posizione è il primo a lamentarsi, a essere insoddisfatto, ma poi quando tocca a lui nell’esercizio delle sue funzioni ad esercitare il buon senso, a doversi ricordare che la burocrazia dovrebbe essere al servizio dei cittadini e non viceversa, vuole il rispetto ottuso delle procedure, anche quando queste hanno perso qualsiasi connessione con l’argomento, con l’azione e l’aspetto pratico che dovevano supportare.

Un esempio pratico: recentemente mi è capitato di recarmi presso l’area ecologica del mio comune, dove sono sempre andato fino ad un mese prima senza problemi, e mi sono sentito dire che non potevo più recarmi li con un furgone ma solo con un'”auto”, che così prevede la legge e che il mio comportamento era a rischo di “penale”.

Quando ho provato ad obiettare che così si era fatto fino ad un mese prima e che nessuno si era preoccupato perlomeno di avvertire i cittadini (i siti web esistono anche per questo e possono fornire informazioni h/24) mi è stato detto in maniera lapidaria che “la legge non ammette ignoranza” e che se volevo disfarmi di materiale ingombrante che non stava nell'”auto” potevo prenotare il servizio sgombero del comune, cosa che ho fatto, e da fine gennaio mi hanno mandato al 7 marzo (come una TAC), ma soprattutto mi hanno detto che porteranno via non più di tre pezzi. Ma pezzi di che cosa non sono stati capaci di specificarlo.

Capite bene che una persona (cittadino) che sta a casa dal lavoro per poter rispettare gli orari dell’area ecologica, si vede respinto una prima volta perchè le disposizioni sono cambiate e non c’è stata informazione, viene accusato/minacciato di essersi sempre comportato male e contro la legge e quindi passibili di sanzioni anche penali, quando cerca di mettersi sulla “retta via”, trova a dover lotare contro lungaggini, inefficenze e “vacuità delle norme” come può reagire? Può amare il suo Stato – nel mio caso il comune che è una delle sue espressioni decentrate – ?

Stiamo attenti perchè è proprio questo il rischio occulto, ma non troppo, della burocrazia, farci allontanare dallo Stato, farcelo detestare e in questo modo lasciare il campo libero agli altri, a quelli moralisti e bacchettoni di facciata che poi invece le leggi e le regole non le rispettano ma voglionio farle rispettare agli altri, quelli che nelle intercettazioni telefoniche ci prendono tutti per i fondelli come “gli stupidi” che si attengono alle regole mentre loro fanno quello che vogliono.

NON FACCIAMOCI TURLUPINARE. NON FACCIAMOCI FREGARE. LO STATO È NOSTRO, LO STATO SIAMO NOI E QUANDO CI PROVANO, PROTESTIAMO, OBIETTIAMO, OCCUPIAMO. NON LASCIAMO SPAZIO A QUESTI INDIVIDUI, CHE TUTTO FANNO TRANNE CHE SERVIRE LO STATO… E TUTTE LE SUE DECLINAZIONI.

Articolo a cura di Claudio Fontana.

Si è appena conclusa a Milano una delle settimane più attese dell’anno da ogni  amante nel mondo della moda e delle sue innovazioni: la Milan Fashion Week.

È facile respirare nell’aria del capoluogo lombardo la sfarzosità, l’eleganza e l’eccentricità che ha luogo in questa settimana, tanto che in metropolitana è facile ritrovarsi ad ammirare gruppi di giovani modelli e modelle pronti per sfilare nei luoghi ambrosiani più d’elite.

La fashion week ha potuto dimostrare di essere al passo con i tempi, che fortunatamente stanno portando ad un sviluppo di maggior consapevolezza nell’ ambito della disabilità, introducendo, già nella pregressa settimana della moda di Febbraio “modelli accessibili”.

Il pioniere di questo progresso bio-psico-sociale, è l’agenzia di moda inclusiva Iulia Barton in collaborazione con la Federazione Vertical, che si occupa specificamente di lesioni midollari, con il patrocinio della Camera Nazionale della Moda italiana.

Foto dal sito speakertv.com

Sulla passerella hanno sfilato trentina di donne e uomini in carrozzina o anche con amputazioni provenienti da tutta la Terra. Questa novità ha riscosso talmente tanto successo che l’agenzia Iulia Barton vorrebbe estendere, con un prossimo progetto ancora in fase di realizzazione, la possibilità di organizzare casting aperti anche a coloro che vivono in condizione di emarginazione e povertà assoluta, oltre che ex detenuti e vittime di abusi sessuali e violenze.

Inoltre è stata interessante l’introduzione a nuove collezzioni su misura per le varie disabilità, tra gli esempi più celebri ci sono Tommy Hilfiger, con la sua Adaptive Collection, ha creato abiti su misura per persone che indossano protesi o sono in sedia a rotelle e la linea Indipendence day clothing di Lauren Thierry, giornalista della Cnn con figlio autistico, composta da abiti che si possono indossare in autonomia, per promuovere l’indipendenza. Meno famose ma altrettanto rimarchevoli sono la Mac Service, che si occupa di abiti e accessori utili anche a chi si trova in una condizione di disabilità temporanea, come avere un braccio ingessato e la Lyddawear, specializzata nella vendita on line di abbigliamento per ammalati di Alzheimer, Parkinson ed in generale difficoltà motorie.

Foto promozionale della nuova collezione Tommy Hilfinger

In aggiunta è molto fresca la notizia risalente al 6 settembre 2018 della new entry nell’agenzia Ellite model, di Aaron Philip, giovane 17enne trans afroamericana affetta da una paralisi cerebrale che la obbliga all’utilizzo della carrozzina.

Pertanto possiamo ringraziare la nostra amata Milano e la sua bela Madunina per questa  ventata di speranza, diritti e ugualianza, dimostrandoci che la bellezza e lo stile non hanno barriere.

– articolo a cura di Lavinia Fontana

Verona, la città dell’Amore, potrà essere ricordata non solo per Romeo e Giulietta ma anche per la sua apertura a nuove iniziative sociali. Si chiama «Anch’io sono capace, negozi senza barriere» un’iniziativa che aiuta a dialogare con persone con disabilità e vede convolti oltre 350 disabili tra giovani e adulti.

Tutto avviene nella “zona in” della moda scalingera, dalla centralissima via Mazzini, che da piazza delle Erbe conduce all’Arena. Il progetto consiste nell’affiancamento al personae del negozio, di una persona diabile. Il merito va alla onlus La Grande Sfida, che porta avanti l’iniziativa da 10 anni e che per il 2018 ha scelto come slogan “Abitare il limite” che ha avuto un buon riscontro anche in altri 75 comuni veneti ad esempio: Peschiera del Garda, Bussolengo, Cerea, Villafranca e Caldiero.

«Inserimento, integrazione, inclusione… tutte belle parole, ma rischiano di rimanere vuote se prima non c’è un incontro reale, personale, emozionale. Da qui l’idea di una grande rete per creare nel tempo un’alternativa ai centri diurni per persone con disabilità», queste sono le parole di Roberto Nicolis,presidente della Onlus fondatrice, che ci tiene a precisare l’importanza non solo della sensibilizzazione ma sopratutto alla normalizzazione di persone che vengono escluse a causa di determinati deficit, partendo proprio da luoghi frequentati quotidianamente da tutti. Inoltre il presidente aggunge «Abbiamo bisogno di un cambiamento culturale radicale. Questi ragazzi sono potentissimi umanizzatori della società, basta solo entrarci in contatto. E su “Abitare il limite” hanno moltissimo da insegnare: hanno imparato ad accogliere fin dal primo giorno i loro limiti più invalicabili».

Attualmente, questa iniziativa ha la durata di un solo mese, normalmente nel periodo primaverile, tra
Aprile e Maggio, ma uno degli obiettivi futuri è quello di poter avere in tutte queste attività commerciali la presenza almeno una volta a settimana di persone disabili, importanti da inserire nel mondo del lavoro ma sopratutto nel mondo reale. Concludendo, sempre con le parole di Nicolis sulla sua visione futura del progetto, ci auguriamo che possa estendersi anche nel resto di’Italia, potrebbe essere una buona occasione per fare un passo avanti con il nostro “Bel Stivale”.

«Obiettivi per il futuro? Rendere ordinaria l’esperienza: magari un giorno alla settimana in negozio, superando le rigidità normative. E poi condividere questo format, tutti possono superare l’idea che chi è fragile, scartato, sofferente rappresenti la domanda di un servizio. E se invece rappresentasse l’offerta di senso, di occasione, di partecipazione, di speranza?».

– articolo a cura di Lavinia Fontana