Il Viaggio del Passaggio…
Esiste un tipo di viaggio -o almeno così è stato per me- che “cresce” dentro di noi proprio mentre stiamo crescendo anche noi…e che, ad un certo punto, è come se ci “chiamasse” e dicesse: -Ecco, è il momento, raduna le tue cose, ma solo ciò che pensi ti serva davvero, e parti-. Non è detto, però, che ci si senta del tutto pronti per intraprenderlo, eppure qualcosa ti spinge a farlo lo stesso, avendone l’occasione, come se si trattasse di una “necessità”…Probabilmente è un tipo di viaggio che si compie specialmente in giovane età, ma anche questo non è un “assoluto”; ciò che lo contraddistingue veramente, forse, è la caratteristica del “cambiamento”, del segnare un passaggio da uno stato ad un altro, cosa che, infatti, avviene in particolare e tipicamente in giovane età, ma non solo…
Comunque, avevo 20 anni, e avevo da poco terminato, con grande fatica, la scuola superiore, un liceo linguistico; diciamo che me la cavavo con l’Inglese, o almeno così mi sembrava, non sapevo ancora cosa fare della mia Vita, e così, essendo attratta dalla “mitologia”, in un certo senso, e amante della natura…scelsi come meta l’Irlanda: un paese per me pieno di fascino, del quale sentivo un vero e proprio richiamo, ricco tanto di leggende quanto di idilliaci paesaggi, verdeggiante come non mai, popolato da gente dal carattere speciale…nonché da animali domestici e selvatici, che fin da piccola mi appassionavano. Avevo guadagnato un certo “gruzzoletto”, lavorando un po’ come dog-sitter, e così riuscii a pagarmi il volo di andata (cosa di cui mi sentii molto fiera) …e il volo stesso fu una prova, per me: ero, e sono tutt’ora, terrorizzata dall’aereo; ogni volta che l’ho preso ho “sofferto” un po’ per tutta la sua durata (che però, fino ad adesso, non è stata mai molto lunga, fortunatamente), e non vedevo l’ora di rimettere i piedi a terra… Comunque, quella era soltanto la seconda volta che volavo, e la prima ad essere sola; mi ero quindi premurata di prendere un leggero ansiolitico, come mi era stato consigliato, e così, in un qualche modo, superai quel momento, stringendo un po’ i denti… Scesa finalmente dall’aereo all’aeroporto di Dublino, presi il bus che da lì mi avrebbe portato alla mia destinazione, un villaggio di campagna non lontano dalla graziosissima cittadina di Galway, che dà proprio sull’Oceano Atlantico, e che si trova praticamente al polo opposto rispetto a Dublino, se si traccia una linea orizzontale fra le due sopra una cartina geografica. Dopo all’incirca tre ore e 1/2 di viaggio, ad aspettarmi alla fermata trovai la signora F., moglie e madre della famiglia che mi avrebbe ospitato durante la mia permanenza in Irlanda, e che fu la prima persona che m’introdusse in quel “mondo”… Mi ricordo che, sebbene ancora non ci conoscessimo, ci “riconoscemmo” quasi subito con lo sguardo: forse le avevo precedentemente fornito via lettera una mia “descrizione sommaria”, non ricordo bene… Lei aveva gli occhi azzurro chiaro lucente, capelli scuri un po’ ricciuti, e un viso dolce e gentile. Mi disse che aveva quattro figli, un maschio e una femmina più grandi di 15 e 14 anni e altri due maschi più piccoli, di 11 e 9 anni; questi ultimi erano a casa, adesso, e, mi avvertì, mi avrebbero guardato con occhi sgranati per un po’, costituendo io per loro una “novità”. Così avvenne, in effetti, e presto scoprii che tutti e quattro i ragazzi avevano i capelli rossi o rossastri e le lentiggini: insomma, erano tipicamente irlandesi!… Quella sera, poco più tardi, rincasò anche il padre, il signor T. e io notai che, nonostante fosse un po’ stempiato, doveva essere stato lui a trasmettere il gene dei capelli rossi ai figli… A differenza di sua moglie, sembrava essere un tipo un po’ taciturno, ma comunque sempre gentile e accogliente; era un fattore, e infatti la loro era una casa di campagna, e avranno avuto all’incirca una cinquantina di mucche da latte di razza Frisona, bianche e nere (le “classiche”, insomma) più un toro; inoltre avevano anche 7 o 8 cavalli, o meglio ponies, ma quasi tutti “confondibili” con cavalli, ad un occhio non esperto -come il mio, ad esempio- poiché appartenenti a razze di ponies piuttosto grandi…ma due di essi erano proprio più riconoscibili come ponies, cioè quelli cavalcati dai due ragazzini più giovani. Già, perché la loro era una famiglia appassionatissima di cavalli da salto-ostacoli, con monta all’inglese… In sostanza, data la mia passione per la natura e gli animali, io mi ero recata lì proprio per questo, per stare in una fattoria e sperimentarne il lavoro.
Quella sera, a fine cena, la signora F. aveva preparato ad accogliermi una deliziosa torta “Crumble” di mele, accompagnata da gelato alla panna, e, gustandola, mi sembrò di sciogliermi anch’io… Dopodiché, i due ragazzi più piccoli mi scortarono a “dare la Buona Notte” agli equini…
Il mattino dopo mi svegliai con una sensazione di gioia nel cuore: sarà stato per il fatto che ero partita (e arrivata), che stavo cominciando a “mettermi alla prova” nella Vita, o l’essere giunta in un posto corrispondente ai miei sogni, e che davanti ai miei occhi si presentasse un mattino splendente di sole, che potevo rimirare dalla grande finestra sporgente all’infuori della stanza da letto che mi avevano riservato… E in quel momento apparve un signore a cavallo, oltre il muretto di pietre a secco che delimitava il giardino della casa della mia famiglia, come un cavaliere di una fiaba, con l’acciottolato dello stradello che risuonava sotto gli zoccoli del cavallo…
Da quel mattino in poi, verso le 7.30, dopo essermi preparata e aver fatto un’ottima colazione di latte e cereali come i ragazzi che andavano a scuola, m’infilavo gli stivali da lavoro e andavo ad aiutare il signor T. (che si svegliava molto prima, tra le 5 e le 6) a mungere, o, meglio, ad osservare come si mungeva, dopo aver fatto entrare le mucche nella stalla apposita, applicando loro la mungitrice meccanica: il signor T. mi diceva che, per imparare, dovevo prima trascorrere un periodo di apprendistato fatto unicamente di osservazione…E, in effetti, cercavo di osservare tutto, come si mungeva, come si pulivano la stalla delle mucche e i box dei cavalli, come li si doveva nutrire, come portare le mucche a pascolare nel grande campo oltre il giardino e come riportarle in stalla verso sera… E cercavo di rendermi utile come potevo, anche in casa, per la signora F., apparecchiando, sparecchiando e smontando la lavastoviglie, e pulendo la mia stanza…
Un pomeriggio tardi, trovandomi momentaneamente “disoccupata”, pulii tutto il piazzale che separava la casa dalle stalle e dai box, passandoci sopra con una specie di macchinario “scansa-fango”, e in seguito, per questo fatto, il signor T. mi soprannominò “the cleaner”, cioè colui o colei “che pulisce” … Di solito, quando il lavoro era finito, mi mettevo a guardare l’allenamento per le gare di salto ad ostacoli, per le quali il signor T. preparava meticolosamente i suoi ragazzi (tranne il figlio minore, ancora troppo piccolo) e addestrava i cavalli tutto l’anno. Il figlio più grande cavalcava Midwest Star, un bellissima e agile cavallina grigia, che una volta tentai di ritrarre in un disegno, raffigurandola con la testa voltata all’indietro, in ascolto; qualche giorno dopo, mi accorsi che per la casa erano sparsi tre o quattro disegni dei ragazzini più piccoli, che la ritraevano allo stesso modo… Mi piacevano tutti loro, ma avevo un debole di simpatia nei confronti del penultimo, undicenne, che aveva dovuto cambiare scuola a causa di una cattiva insegnante, e che appariva particolarmente sensibile.
-Keep your heels (“tieni giù i talloni”), keep your heels! – Gli ricordava sempre il padre durante gli allenamenti. Una volta, proprio di nascosto al papà, mi fece vedere come riusciva a cavalcare anche una mucca, in quel momento “stretta” nello stazzo per foraggiarsi a fianco delle altre, e quindi un po’ impossibilitata a muoversi e ad avere scatti di ribellione verso il suo giovane cavaliere…Promisi che non avrei riferito nulla a suo padre.
Per parte mia, avevo preso alcune lezioni di equitazione all’inglese a Ferrara, dove abito tutt’ora, e così, in cambio del mio aiuto nel lavoro, lì potevo beneficiare, oltre che di vitto e alloggio, anche di qualche lezione con il signor T. come istruttore: ne ero più che contenta, nonostante io non sia né abile né esperta, e, anzi, continui ad avere piuttosto paura dei cavalli, sebbene mi piacciano; paura non tanto di essi, veramente, quanto di cadere e farmi male… -Non preoccuparti, ti avvolgeremo intorno al cavallo con una corda!- Mi disse il signor T., prendendomi bonariamente in giro, quando gli comunicai il mio timore nel saltare. Fu così che conobbi Lady, un pony femmina di razza Connemara, bravissima, docile e robusta, dal mantello color “baio-oscuro”, quasi morello, e la criniera a spazzola; era davvero simpatica e “saggia”, non essendo più giovanissima e avendo tanta esperienza, e mi affezionai molto a lei.
Di tanto in tanto, il signor T. mi portava con lui in auto a sbrigare qualche commissione in giro per cittadine non troppo lontane, e una volta, poco prima di una gara di salto, ci recammo anche dal veterinario per una visita di controllo a Midwest Star, caricata nel “van” per cavalli collegato dietro la macchina. Era in queste occasioni di “viaggio” che, alternate a lunghi momenti di silenzio -durante i quali m’intrattenevo guardando i paesaggi che scorrevano intorno, e i cartelli stradali con i doppi nomi delle località, in inglese e gaelico- io e il signor T. abbiamo cominciato a condurre fra di noi semplici ma molto significative “chiacchierate”, per lo più incentrate su di me e su cosa avrei desiderato fare nella Vita… e lui, sebbene di poche parole, si dimostrava così gentile e incoraggiante che io riuscii ad aprirmi, e a parlargli anche delle mie preoccupazioni e paure riguardo al futuro… E piano piano, attraverso la sua conoscenza, mi parve anche di scoprire un po’ il “carattere” più positivo degli Irlandesi: che, a tratti può sembrare un po’ “brusco”, ma che è anche gentile e ospitale allo stesso tempo… Come dicevo, anche la signora F. era molto dolce e attenta, e, notando alcune “manie” che avevo, scaturite da uno stato di nervosismo e insicurezza che(purtroppo) spesso mi caratterizza ancora (ma che forse è un po’ migliorato negli anni), una volta mi scrisse su di un foglietto, che ho conservato: “NO fingers, NO legs; every day in every way I am getting better and better”. E cioè: “NON (torturarsi) le dita, NON (muovere nervosamente) le gambe; ogni giorno, in ogni modo, le cose per me andranno di meglio in meglio”. Queste parole mi rimasero nel cuore, e ancora la loro “filosofia” m’incoraggia nella vita di tutti i giorni…
Comunque, tornando ai “viaggetti” col signor T., spesso culminavano, prima del ritorno a casa, con una squisita merenda, generosamente offerta da chi ci ospitava di volta in volta, costituita da the con latte o limone accompagnato da deliziosi dolcetti, che credo si chiamino “Scones”, con burro e uvetta… A proposito, io ho sempre mangiato bene in Irlanda: nella “mia” famiglia in modo semplice ma gustoso, spesso con un contorno sostanzioso di patate e verdure cotte in vari modi, come piselli, carote e cavolo; in un pub, una volta, assaggiando anche un piatto davvero prelibato, che lì chiamano “pie”, una sorta di torta salata che racchiude un pasticcio di carne, di agnello, in quel caso; e in un’altra occasione provai anche una buonissima zuppetta di pesce e crostacei… Questo fu una volta che feci una gita bellissima e indimenticabile nella regione del Connemara, un territorio dell’Irlanda Occidentale, che si trova nella Contea di Galway, quindi proprio vicino a dove stava il mio villaggio: è una zona aspra e selvaggia, ricca di paesaggi incredibili e “fiabeschi”, costituiti da boschi, prati, colline, fiumi e laghi, nonché pascoli delimitati da muretti a secco, spesso popolati da greggi di buffe, basse pecorelle lanose bianche, ma con muso e zampe neri… Penso che essa rappresenti l’essenza stessa dell’Irlanda…e, davvero, quei luoghi fatati, quei campi di Erica selvatica, si ripresentano ancora nei miei sogni…assieme al vento onnipresente, alle nuvole spumeggianti al galoppo nel cielo, di volta in volta azzurro, grigio, rosa, arancio… e a quella volpe che, mi raccontò un giorno la ragazza della famiglia che mi ospitava, a volte era stata nutrita da loro quando era cucciola, e che, ogni tanto, tornava ancora a grattare con la zampa alla loro porta, di notte…
Vittoria Montemezzo
Sono nata nel 1977, ho un diploma di liceo linguistico, mi piacciono i bambini, la natura, la storia e le culture antiche…e l’essere umano in generale. Dal 2015 sono insieme ad un compagno disabile in sedia a rotelle.