Uber, l’app californiana dei trasporti, sta sviluppando sempre maggiormente la propria offerta del trasporto accessibile in materia con forte attenzione alla mobilità, all’efficienza e all’indipendenza nel trasporto per gli utenti non vedenti e ipovedenti.

Ecco alcune caratteristiche dell’offerta UBER:

Le tecnologie VoiceOver (iOS) & TalkBack (Android) associate a display di smartphone compatibili con linguaggio braille permettono a utenti con disabilità visive di prenotare in totale autonomia una corsa digitando una destinazione; è altresì possibile utilizzare i comandi vocali per scegliere un punto di partenza e uno d’arrivo.

La modalità di pagamento senza contante semplifica il modo di pagare un servizio riducendo le difficoltà di un non vedente o ipo-vedente di commettere errori o di essere truffato.

Il trasporto ON DEMAND consente agli utenti affetti da cecità di poter trovare un’auto in qualsiasi momento della giornata e in qualunque luogo evitando di dover organizzare con ampio anticipo un trasporto ad HOC come in passato così dando totale indipendenza.

Il sistema GPS in tempo reale utilizzato dall’app traccia e registra ogni spostamento del veicolo in tempo reale. Questo consente all’utente di viaggiare con la massima tranquillità informandolo in tal maniera dei luoghi percorsi e quindi evitando il rischio di frodi.

Altresì UBER consente di condividere la propria ETA e location con amici e parenti così che anche questi possano affrontare con maggior serenità gli spostamenti dell’utente, che in alcuni casi potrebbe essere minorenne o avere comunque gravi difficoltà negli spostamenti. L’app consente di condividere tramite un link informazioni sulla corsa come ad esempio nome e foto dell’autista e il veicolo guidato con relativa targa.

Ecco una testimonianza di MATT SIMPSON, atleta paraolimpico affetto da cecità che usa UBER quotidianamente:

Articolo a cura di Lucio Fontana

Tutti abbiamo bisogno degli altri per vivere compiutamente la nostra vita, ma nel caso di molti disabili il bisogno è maggiore e diventa dipendenza. Quindi nella vita di queste persone ne entrano delle altre in funzione di aiuto e, fin quando le cose funzionano e c’è armonia, va tutto bene. Ma quando iniziano i problemi, uno dei due protagonisti, il disabile o l’operatore, incomincia ad andare in sofferenza. Cosa accade in quel frangente?

Cosa succede se il disabile, che può essere vittima o carnefice, non è solo l’assistito ma anche il datore di lavoro dell’altra persona? Come farà a dirimere la questione con sufficiente imparzialità e distacco?

Probabilmente non ci riuscirà e se vorrà farlo dovrà chiedere l’aiuto di qualcuno… aiuto che sarebbe sicuramente stato meglio avere a disposizione fin dall’inizio.

Per questo motivo, nel rapporto di assistenza e di lavoro tra disabile e operatore, quasi sempre è necessario che la figura dell’assistito e del datore vengano separate, per garantire una maggiore continuità nel tempo e soprattutto che i momenti di difficoltà vengano superati senza rotture traumatiche per nessuno.

Articolo a cura di Claudio Fontana

Buongiorno, viaggiatori!
E dopo la bella avventura è arrivato il momento di tornare a casa. Siamo risaliti a bordo del traghetto per ritornare a Tallinn e da lì intraprendere il percorso che ci porterà in Italia.

Pause pranzo alternative in pizzerie piene di luoghi comuni! :’D

E qualche momento di relax prima di intraprendere la strada del ritorno.

Siamo appena tornati, ma non vediamo già l’ora di partire per un nuovo fantastico viaggio!

Buongiorno, viaggiatori!
La nostra giornata ad Helsinki è stata purtroppo funestata da un po’ di pioggia, ma questo non ci ha impedito di passare una bella giornata!
Abbiamo cominciato un un  bel giro del porto della città, seguita da un ottimo pranzo!

Abbiamo poi proseguito il nostro giro, ben equipaggiati per affrontare qualsiasi tempo atmosferico!

Dietro una parola c’è un mondo condensato e spesso la sintesi non aiuta la comprensione.

Si fa presto a dire “disabile” ma quante e quali differenze esistono, convivono, bisticciano in questo termine.

Ad esempio, per noi che ci occupiamo di turismo quante volte ci siamo trovati a chiedere di una camera adatta alle persone con disabilità e ci sono state proposte soluzioni di una diversità sconcertante: in alcuni paesi il disabile è per definizione al massimo paraplegico, atletico e single, altrimenti non si spiegherebbero il letto singolo appunto, la vasca da bagno e le dimensioni ridotte della stanza.

Oppure provate a mettere insieme un paraplegico con una buona autonomia di spostamento, che guida l’auto e che va in bagno da solo con una persona con una sclerosi multipla avanzata che, se ancora non lo costringe a letto, gli impedisce di compiere in autonomia praticamente tutti gli atti della vita quotidiana come mangiare, bere, andare in bagno, coricarsi, vestirsi: il primo entrando in contatto con il secondo scoprirà un mondo e un modo di vivere a lui sconosciuto.

Ma allora esistono diversi tipi di disabilità, ci sono disabili più abili e disabili meno abili o più disabili?!

Certamente sì.

Per noi che ce ne occupiamo tutti i giorni e che incontriamo nella nostra attività la maggior parte, per non dire tutte, le declinazioni della disabilità, il concetto è molto chiaro.

Provate però a chiederlo a molti progettisti, a certi politici e talvolta ad alcuni medici: per molti di loro esistono o delle categorie astratte, o soltanto coloro con i quali sono venuti in contatto.

Persino molti disabili non si rendono conto che accessibilità non è soltanto barriera architettonica, oppure un ostacolo di tipo sensoriale o cognitivo e soltanto pochi riescono ad avere veramente un approccio, un metodo che porti al superamento delle disabilità qualsivoglia siano.

Ed è proprio questo che vogliamo significare, superare la disabilità significa si cercare di eliminare quanti e più ostacoli ci sono, fornire quanti più aiuti possibili, ma soprattutto, siccome non si può prevedere tutto, avere la mente pronta ad adattarsi a situazioni e persone le più diverse, a personalizzare il nostro approccio, dal generale al particolare, sempre. O quasi.

– articolo a cura di Claudio Fontana