Nella città di Pesaro, nelle Marche, in una piccola via chiamata via dell’Abbondanza, al di là di un comune cancello si nascondono alcune inimmaginabili ma concrete meraviglie, scoperte tra gli anni 2004 e 2005, durante il corso di lavori edili per la costruzione di garages sotterranei; mentre si scavava, ecco che, a solo un metro di profondità rispetto al piano stradale, ci si è imbattuti nella prima -che a quel punto ha richiesto l’intervento della Soprintendenza Archeologica delle Marche: i resti della bottega di un vasaio-ceramista del Cinquecento: una piccola officina con vasche e pozzetti adibiti alla lavorazione dell’argilla e una fornace per cuocere i mattoni; scavando ancora, ecco venire alla luce numerose impronte di pali portanti in legno di capanne ad uso abitativo, databili a partire dall’11°secolo d.C., quindi medievali, che dovevano avere tetti e pareti costruiti con materiale deperibile come fango e paglia: vicino a ciascuna di esse dovevano esserci inoltre piccoli spazi di terra coltivata ad orto per frutta e verdura, nei quali potevano trovare posto anche piccoli recinti per il ricovero di animali; scendendo ulteriormente, sono state poi rinvenute una cinquantina di semplici tombe, scavate nella nuda terra e prive di corredo, più che altro di bambini e adolescenti: ciò attesta che nello stesso luogo, ma più in fondo e in precedenza, in età altomedievale, si trovava quindi un’area cimiteriale -utilizzata tra il 5°e il 10° secolo d.C.; seguitando a scavare, nella parte più orientale è poi emerso un impianto termale, utilizzato fin dal 6°secolo d.C.: non si conoscono ancora le sue dimensioni precise, ma pare si tratti proprio di una struttura importante, con spogliatoi, piscine riscaldate e altri ambienti di servizio; infine, la meraviglia più grande, e anche più antica: parte di una villa signorile urbana, risalente alla prima età imperiale, con i resti visibili del cortile interno, il cosiddetto “peristilio”-nello specifico basi di colonne della struttura porticata-  e di alcune stanze intorno ad esso, con il pavimento decorato da raffinati mosaici composti di tessere bianche e nere, a formare diversi motivi geometrici “a tappeto”, come andava “di moda” proprio tra la fine dell’epoca repubblicana e l’inizio di quella augustea: seguendo schemi semplici come meandri, losanghe -cioè rombi-, esagoni o stellati, ma alternati tra le stanze, in modo tale da non risultare ripetitivi, e spesso accostati con maestria, ora a girali e ora floreali. Inoltre, da loro piccole porzioni e frammenti ritrovati, è stato riscontrato che le pareti fossero decorate da affreschi, con tonalità forti di pochi colori come nero, rosso e giallo ocra, secondo il cosiddetto “terzo stile pompeiano”, tipicamente in uso tra la fine del 1°secolo a.C. e la metà del 1°d.C.

Pare che questa “Domus” sia stata ristrutturata più volte, nonché abitata a lungo, almeno fino alla fine del 2°secolo d.C. I suoi ambienti sono disposti secondo lo schema “classico”: l’entrata con il “vestibolo” -una via di mezzo tra un ingresso e un corridoio- che portava fino all’atrio, cioè uno spazio aperto situato al centro della casa, ambiente principale della vita della famiglia, attorno al quale si aprivano le stanze private, e, in fondo, il “tablino”, equivalente al nostro salotto; oltre  quest’ultimo si trovava il famoso peristilio, il giardino interno delimitato da un portico, spesso ornato con alberi da frutto, erbe aromatiche e piccole vasche o fontane; intorno, prendendo luce da esso, si aprivano altri ambienti, che potevano essere il “triclinio”, ossia la sala da pranzo, o i “cubicola”, cioè le camere da letto, oppure altri locali di servizio.

In sostanza, i ritrovamenti archeologici stratificati di questo sito sono riferibili ad un arco di tempo di ben sedici secoli, cioè di millecinquecento anni circa; ed esso non è certamente l’unico: sotto i negozi, i palazzi e le strade della città di oggi sono celate le antiche botteghe, case e strade, frequentate, abitate e percorse dalla gente di allora: dai romani dell’antica “Pisaurum”-la cui consueta pianta rettangolare derivata dall’intersezione di cardo e decumano è riconoscibile ancora oggi nel centro storico- ai barbari e ai bizantini, fino alle persone vissute nel Medioevo e nel Rinascimento. E oggi, in questa Domus di via dell’Abbondanza, musealizzata dal 2015, è attivo un percorso multimediale, che, proiettando sulle pareti in cemento armato dell’edificio che la racchiude la ricostruzione virtuale e tridimensionale dei suoi antichi ambienti, permette ai visitatori d’immaginare come si svolgesse la vita quotidiana al suo interno; inoltre sono presenti modelli tattili e pannelli con scrittura braille per la fruizione del percorso anche da parte di persone ipovedenti. Oltre a ciò, due vetrine espongono i reperti rinvenuti con gli scavi, anch’essi appartenenti alle varie epoche rilevate: ceramiche, lucerne e oggetti della vita quotidiana; tra di essi, diventata il simbolo stesso della Domus, una piccola testa in terracotta di Eros addormentato…che non aspetta altro che di essere svegliato.

Vittoria Montemezzo

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