La città di Parma può vantare di avere ben due prodotti tipici della sua gastronomia di fama pressocché mondiale: il Prosciutto Crudo e il formaggio Parmigiano Reggiano; e ciascuno dei due affonda le sue radici in tempi lontani…

IL PROSCIUTTO DI PARMA

Sembrerà forse un po’ strano, ma la parola “prosciutto” deriva dal Latino, e, in sostanza -passando per “pro exsuctus”, o “prae suctus”, o “perexsuctum” – significa “prosciugato”; ciò si riferisce alla modalità di lavorazione della carne per ottenerlo: una volta macellata, infatti, questa viene salata, in modo tale che il sale letteralmente la “prosciughi”, bloccando così lo sviluppo dei batteri e permettendone la conservazione.

In effetti, come racconta nel suo “De re rustica” Varrone, letterato e agronomo latino, fin dall’epoca romana, la zona di Parma, nel cuore della Gallia Cisalpina, era nota per l’attività di allevamento di grandi mandrie di suini, dalla cui carne erano ricavati prosciutti salati, sostanzialmente con la stessa tecnica di produzione impiegata oggi; Catone stesso, celebre politico, generale e scrittore romano, la delinea ancora prima, nel 2°secolo a.C., nel suo “De agri cultura”. Nel corso dei secoli, ne parlarono anche altri autori famosi come Plauto, Polibio, Orazio, Strabone e Giovenale. E pare addirittura che Annibale, quando fu accolto come liberatore dai parmensi nel 217 a.C., venne da loro omaggiato con cosci di maiale conservati sotto sale dentro barili di legno, che al famoso condottiero cartaginese piacquero moltissimo! … Soltanto alla fine del Medioevo, però, la plurisecolare tradizione di produzione degli insaccati si “specializzò” nell’“Arte dei Lardaroli” -originatasi da quella più antica dei “Beccai” – contribuendo alla fama del Prosciutto di Parma come specialità esclusiva dei “lardaroli” parmensi. Nel tempo a seguire, riferimenti al rinomato salume compaiono inoltre:

-in un “Libro de cocina” della seconda metà del Trecento;

-nei consigli dietetici del medico bolognese Baldassarre Pisanelli, nel 16°secolo;

-nel menu di nozze dei Colonna, storica casata patrizia romana, nel 1589;

-in mezzo alle rime del poeta e scrittore modenese Alessandro Tassoni;

-nella preziosa ricetta, risalente al 17° secolo, del palermitano Carlo Nascia, cuoco alla corte di Ranuccio 2° Farnese, duca di Parma e Piacenza…

La tradizionale produzione del Prosciutto fu sicuramente favorita dalle sorgenti saline presenti nel territorio parmense, come ad esempio quelle di Salsomaggiore; un tempo interamente artigianale, essa si sviluppò progressivamente, fino ad arrivare all’industrializzazione dei nostri giorni, la quale ne ha notevolmente migliorato le condizioni igieniche, mantenendone tuttavia invariate le caratteristiche peculiari. Che consistono in un prodotto dal sapore dolce e intenso, ma con un basso apporto calorico, e con un unico conservante ammesso: il sale, per l’appunto. Nel 1963 i produttori si sono riuniti in un Consorzio per poter vigilare sulla scelta della materia prima e la sua lavorazione, ed esistono ulteriori regole che devono essere rigorosamente rispettate a garanzia della sua qualità e originalità: come la zona di produzione, situata 5 Km a sud della via Emilia, ad un’altitudine non superiore ai 900 metri, e delimitata, rispettivamente ad est e ad ovest, dai torrenti Enza e Stirone. Infine così, il gustoso e celebre salume -insignito della Denominazione di Origine Protetta (D.O.P) – può ricevere, impresso a fuoco sulla cotenna, il noto marchio della corona a cinque punte…

IL PARMIGIANO REGGIANO

Questo celebre formaggio ebbe origine nel Medioevo, intorno al 12°secolo, ma può essere che risalga anche a secoli precedenti…Certo è che intorno al 13°e 14°secolo aveva raggiunto le caratteristiche del tipo odierno, e la sua composizione, a pasta dura, era forse simile a quella del “Piacentino” e del “Granone Lodigiano” -quest’ultimo a volte citato da antiche fonti romane. Furono in particolare i monaci delle abbazie benedettine e cistercensi, che ancora oggi sorgono nel territorio tra Reggio Emilia e Parma, ad avviarne la produzione, allo scopo di creare una qualità di formaggio dalla forma grande e dalla pasta asciutta che si potesse conservare a lungo. Per allevare animali di grossa taglia come i bovini, adatti ad una grande produzione di latte, c’era la necessità di vasti prati ricchi di acqua sorgiva, e quindi le aziende agricole dei monasteri caratterizzate da questa tipologia di allevamento nacquero e si svilupparono proprio nei territori che presentavano queste caratteristiche, come a nord di Parma e nella zona di Fontanellato-Fontevivo, o in quella tra Montecchio Emilia e Campegine nel Reggiano. Inoltre, a Salsomaggiore, nel parmense, si trovavano le saline dalle quali poter prelevare il sale necessario alla trasformazione casearia. Già verso l’anno 1000, le fonti storiche attestano l’esistenza del “Formadio” nei terreni appartenenti alla Contessa Matilde di Canossa, cioè presso Frombarola, nel comune di Carpineti, dove all’epoca “regnavano” i frati di Marola. E nel 1254, un atto notarile testimonia la presenza del “Caseus Parmensis”, il “Formaggio di Parma”, nella città di Genova, dunque al di fuori della sua zona di provenienza: ciò significa che a quell’epoca la sua commercializzazione era già cominciata; per continuare poi ad espandersi durante il 14°secolo, verso Romagna, Piemonte e Toscana, giungendo fino ai centri marittimi del Mediterraneo.

Persino il celebre letterato Giovanni Boccaccio, nel 1351, cita il “Parmigiano grattugiato”, descrivendo il paese di “Bengodi”, nel suo “Decamerone”!

Nel 1400 la produzione in Emilia proseguì e aumentò, tra i feudi e le abbazie che ad essa concorrevano, e nel corso del 16°secolo si ebbe lo sviluppo delle vaccherie, accanto ai caseifici per la trasformazione del latte: in questi i mezzadri si alternavano per aiutare il casaro, aggiungendo il latte proveniente dalle loro stalle a quello del proprietario; il caseificio era quindi chiamato “turnario”, diventando in questo modo anche un punto di riferimento sociale, oltre che produttivo ed economico.  Nello stesso periodo, anche la zona di Modena divenne importante nella sua produzione, e il Parmigiano compare in diverse ricette, sia di pasta che di dolci. A Parma “formaggiai” e “lardaroli” vendevano i loro prodotti anche a mercanti milanesi e cremonesi, e li esportavano fino in Europa, tra Germania, Fiandre, Francia e Spagna.

 Si era giunti così alla necessità di “proteggere” commercialmente il Parmigiano dalla concorrenza di formaggi simili, e così nel 1612 il duca di Parma Ranuccio 1°Farnese   ne ufficializzò la prima denominazione d’origine.

Nel 1700 le guerre continue che coinvolsero i ducati di Parma e Modena resero ovviamente difficoltosa la produzione, che però si riprese in seguito.

 La sua modalità produttiva è rimasta sostanzialmente naturale e invariata dal Medioevo fino ai nostri giorni, senza l’aggiunta di alcun additivo, acquisendo tuttavia nel ‘900 alcune importanti innovazioni, come l’uso del siero innesto e del riscaldamento a vapore.

Nel Luglio del 1934, i rappresentanti dei caseifici di Parma, Reggio Emilia, Modena e Mantova alla destra del Po si accordarono sulla necessità di assegnare uno specifico marchio di origine al loro prodotto, e nel 1954, dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’originario consorzio per la sua tutela si trasformò nel “Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano” attuale. Infine, nel 1996 venne riconosciuto come una vera e propria D.O.P. – “Denominazione di Origine Protetta” – a livello europeo: poiché ad oggi il “Re dei Formaggi”, proprio a causa della sua grande notorietà e del suo sapore, è uno dei più contraffatti e imitati al mondo…

Vittoria Montemezzo

Due pilastri dell’attivismo per i diritti delle persone con disabilità, entrambi scomparsi recentemente. La loro dedizione ha giocato un ruolo fondamentale nella promozione e realizzazione del Piano di Eliminazione delle Barriere Architettoniche (PEBA) nella città.

Il prossimo Giubileo del 2025 pone una sfida significativa: garantire l’accessibilità completa per tutti i pellegrini, inclusi quelli con disabilità. Questa preoccupazione ha spinto un politico locale e il responsabile per la disabilità del Movimento Cambia a sollecitare azioni concrete per perpetuare l’eredità di Parlante e Mirasole.

Tra le iniziative proposte, spicca lo sviluppo di un’app che mappi gli itinerari accessibili e identifichi le barriere architettoniche da eliminare. Questo strumento non solo aiuterebbe i residenti, ma anche i turisti e pellegrini, migliorando l’inclusività della città in vista del Giubileo.

L’assessore Episcopo e l’amministrazione comunale sono stati invitati a considerare seriamente questa proposta, per avviare un progetto tangibile che promuova il turismo accessibile e continui la lotta per un Foggia senza barriere.

Cristina Zangone

La città di Reggio Emilia non è famosa solo per essere la città natale di Ludovico Ariosto, del Tricolore Italiano e del Parmigiano Reggiano: è stata anche il luogo dove ha avuto inizio e si è sviluppato un approccio pedagogico talmente “rivoluzionario” e innovativo da riscuotere successo a livello internazionale, a partire dagli Stati Uniti, prendendo il nome di “REGGIO EMILIA APPROACH”. Il suo iniziatore fu un certo Loris Malaguzzi, nato nel 1920 a Correggio, un comune della provincia di Reggio Emilia, laureatosi in Pedagogia all’Università di Urbino e diventato insegnante di scuola elementare nel 1940: alla fine della Seconda Guerra mondiale, nel 1945, egli si rese conto di quanto fosse urgente, nel contesto di una “rinascita” generale, la necessità di ripartire proprio dall’educazione, che negli anni di guerra aveva ovviamente subito un arresto; così, insieme ad un gruppo di persone comuni, di estrazione contadina e operaia, decise di costruire e gestire una scuola per bambini proprio nel piccolo borgo di campagna di Sologno, dove aveva cominciato a insegnare; a questa ne seguirono altre, sempre “autogestite”, in periferia e nelle zone più povere della città. Successivamente, nel 1950, dopo aver frequentato un corso di Psicologia presso il CNR -Consiglio Nazionale delle Ricerche- di Roma, divenuto psicologo, cominciò ad esercitare questa professione per i bambini in difficoltà, presso il Consultorio Medico Psicopedagogico Comunale di Reggio Emilia, continuando tuttavia anche quella d’insegnante in queste scuole.

Nel 1963 il comune di Reggio Emilia cominciò ad organizzare una rete di servizi per l’infanzia, aprendo anche i primi asili per bambini da 3 a 6 anni: per la prima volta si affermava così il diritto di fondare una scuola laica anche per i bambini piccoli. Loris Malaguzzi, assieme alle altre persone che collaboravano con lui in questo progetto, presero a caricare loro stessi, i bambini e i loro “strumenti di lavoro” su di un camion, e in questo modo letteralmente trasportavano la loro idea di scuola al di fuori, nei parchi pubblici o sotto i portici del teatro comunale, tra la felicità dei bambini e la sorpresa e la curiosità della gente. Su richiesta di madri lavoratrici, nel 1970 venne aperto il primo asilo nido per bimbi dai 3 mesi ai 3 anni. Nel 1971 uscì il primo testo laico per gli insegnanti, da lui curato, “Esperienze per una nuova scuola dell’infanzia”, basato, appunto, sull’esperienza vissuta nelle scuole di cui era consulente. Nel 1976 ebbe l’incarico di dirigere la rivista mensile “Zerosei”. Nel 1980 fondò il “Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia”. Il suo progetto stava ormai per valicare i confini dell’Italia, e, nel 1991, l’asilo “Diana”, nei giardini pubblici di Reggio Emilia, venne nominato dalla rivista americana “Newsweek” l’istituzione per la prima infanzia più avanzata nel mondo; seguirono il Premio “Lego” della Danimarca e il “Kohl” di Chicago nel ‘92. E l’anno in cui egli morì, il 1994, venne fondata, seguendo il suo volere, l’associazione internazionale “Amici di Reggio Children”, per la difesa e lo sviluppo dei diritti e delle potenzialità dei bambini, nonché la diffusione della sua metodologia educativa.

Ma quali sono dunque le caratteristiche di quest’ultima che la rendono così speciale? Loris Malaguzzi era profondamente convinto che il bambino sia per natura parte attiva, o meglio ancora, il vero protagonista della sua acquisizione di conoscenza: egli è cioè naturalmente portato a conoscere il mondo che gli sta attorno, spinto dai suoi interessi,  attraverso esperimenti, verifiche e confutazioni che lui stesso mette in atto; gli adulti hanno quindi il delicato compito di accompagnare e guidare i bambini nelle attività che questi prediligono(evitando ovviamente situazioni pericolose o nocive), lasciando da parte la tradizionale metodologia di trasmissione del sapere da adulto a bambino ancora utilizzata nell’attuale sistema educativo-scolastico,  che prevede una posizione “passiva” di quest’ultimo nel momento in cui riceve le nozioni. E’ inoltre fondamentale tener presente che tutto ciò che i bambini imparano deriva non soltanto dalla loro interazione con gli oggetti e con l’ambiente circostante, ma anche dalle relazioni che stabiliscono con gli adulti che li seguono e con gli altri bambini: di qui la necessità di relazioni affettive salde e positive, basate sull’affetto e la fiducia, all’interno degli asili, che coinvolgano anche i genitori dei piccoli. In questa prospettiva, anche l’ambiente scolastico deve diventare sicuro, “amabile” e stimolante, un posto, in sostanza, in cui il bambino si senta accolto e ami trascorrere il tempo, libero di seguire le sue inclinazioni, provando e “pasticciando” in appositi spazi-laboratori. Le esperienze dei bimbi andranno poi “raccolte”, in veste di lavoretti, disegni ecc., per mantenere le “tracce” del loro processo di apprendimento, in modo da poter poi migliorare ed espandere le conoscenze acquisite, nonché come “mostra” temporanea o permanente rivolta agli stessi genitori, per tenerli aggiornati su tutto ciò che avviene nella scuola.

Riassumendo, questi sono i principi sui quali Loris Malaguzzi basava la sua idea educativa:

-E’ necessario dare più attenzione al bambino che alla materia da insegnare.

-E’ importante incentivare la trasversalità culturale e non il sapere diviso in “settori.”

-E’ più importante il progetto rispetto alla programmazione.

-Ha maggiore importanza il processo di apprendimento piuttosto che il “prodotto” finale.

-E’ necessario osservare e documentare i processi individuali e di gruppo.

-Il confronto e la discussione sono tra le strategie più efficaci nella formazione.

-E’ indispensabile l’autoformazione degli insegnanti.

Ed infine, egli diceva questo: “I bambini costruiscono la propria intelligenza. Gli adulti devono fornire loro le attività e il contesto, e soprattutto devono essere in grado di ascoltare”.

Vittoria Montemezzo

Il 15 aprile 2024, il Governo italiano ha approvato un nuovo decreto legislativo che riforma in modo significativo il trattamento e la valutazione delle persone con disabilità. Il decreto, intitolato “Definizione della condizione di disabilità e implementazione del Progetto di Vita personalizzato”, è entrato in vigore il 30 giugno 2024, con alcune disposizioni che verranno applicate dal 10 gennaio 2025.

Cambiamenti Terminologici e Normativi

Una delle modifiche più notevoli apportate dal decreto riguarda la terminologia: i termini obsoleti come “handicap” e “diversamente abile” sono stati sostituiti con “condizione di disabilità”. Questo aggiornamento terminologico mira a eliminare le connotazioni negative e a promuovere un linguaggio più rispettoso e inclusivo.

Sperimentazione e Valutazione

A partire dal 2025, il decreto prevede una fase di sperimentazione delle nuove procedure di valutazione, che includerà una valutazione multidimensionale per considerare non solo gli aspetti medici, ma anche quelli sociali, ambientali e lavorativi delle persone con disabilità.

Progetto di Vita

Uno degli aspetti più innovativi del decreto è l’introduzione del Progetto di Vita personalizzato, che mira a fornire un supporto su misura a seconda delle esigenze individuali. Questo progetto considera vari fattori chiave come l’educazione, l’impiego, l’integrazione sociale e le necessità abitative, promuovendo un approccio olistico all’inclusione.

Accomodamento Ragionevole

Il decreto introduce il concetto di “accomodamento ragionevole” nel contesto lavorativo, obbligando datori di lavoro pubblici e privati a modificare l’ambiente di lavoro per facilitare l’inclusione delle persone con disabilità, senza imporre oneri eccessivi.

Livelli Essenziali di Prestazioni (LEP) e Assistenza (LEA)

Infine, il decreto stabilisce i Livelli Essenziali delle Prestazioni e di Assistenza, garantendo standard minimi di servizi e supporti accessibili a tutte le persone con disabilità su tutto il territorio nazionale, riducendo le disparità regionali.

Questo decreto legislativo segna un passo significativo verso un Italia più inclusiva, garantendo che le persone con disabilità possano godere di una qualità della vita migliore e di maggiori opportunità di integrazione nella società.

Cristina Zangone