L’inclusione lavorativa delle persone con disabilità è una priorità sociale e legale che ha visto significativi sviluppi normativi in Italia a partire dal 1968. Tuttavia, è stata la legge n. 68 del 1999 a delineare un quadro legislativo completo, in accordo con i principi di pari dignità sociale stabiliti dalla Costituzione italiana.

Con l’adesione alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, l’Italia si è impegnata a rispettare gli standard nazionali e internazionali per facilitare l’accesso al lavoro per i disabili. A partire dal 1° gennaio 2022, le sanzioni per i datori di lavoro che non rispettano gli obblighi di assunzione sono state intensificate, allo scopo di promuovere una maggiore inclusione lavorativa.

La normativa corrente impone che ogni entità, sia pubblica che privata, assuma una persona con disabilità per ogni 15 dipendenti. Nonostante questo obbligo, la realtà mostra che molti individui con disabilità rimangono esclusi dal mercato del lavoro, spesso a causa delle condizioni severe di salute o delle barriere culturali e strutturali ancora radicate.

Un altro fattore di complessità è dato dalle differenze di genere: le donne con disabilità incontrano maggiori ostacoli nell’accesso all’occupazione. La pandemia di COVID-19 ha ulteriormente peggiorato la situazione, interrompendo un lieve miglioramento occupazionale che si stava manifestando negli anni precedenti al 2020.

Pur essendoci una strada ancora lunga da percorrere per raggiungere una piena inclusione lavorativa, l’Italia sta compiendo passi avanti verso un contesto più inclusivo. È essenziale perseguire e rafforzare le politiche volte a facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro delle persone con disabilità, eliminando gli ostacoli esistenti e fomentando una cultura lavorativa che valorizzi la diversità e il rispetto per tutti i cittadini.

Cristina Zangone

A livello globale, il 15% della popolazione vive con qualche forma di disabilità. In Italia, oltre tre milioni di persone sono direttamente interessate. L’accessibilità nei trasporti pubblici è quindi una questione di diritti civili fondamentale per garantire l’inclusione e la partecipazione attiva di tutti nella società.

Le Nazioni Unite, insieme a enti governativi locali e regionali di numerosi paesi, tra cui l’Italia, stanno intensificando gli sforzi per migliorare l’accessibilità dei trasporti pubblici. In Italia, il cammino verso l’adeguamento dei trasporti è iniziato anni fa, ma la strada verso una completa accessibilità è ancora lunga e richiede investimenti continui e innovazioni.

La disabilità si manifesta in molteplici forme, inclusi disturbi motori, sensoriali, uditivi, visivi e cognitivi. Le compagnie di trasporto, in collaborazione con le associazioni per i diritti delle persone disabili, stanno lavorando per rendere i servizi più accessibili, grazie anche al supporto legislativo e finanziario da parte delle istituzioni.

Nonostante i progressi, molto resta da fare. L’adozione di tecnologie come app mobili, piattaforme web accessibili, biglietterie automatizzate e sistemi di assistenza ai passeggeri possono accelerare questo miglioramento. È fondamentale che le compagnie di trasporto implementino programmi di formazione per i propri dipendenti e promuovano la sensibilizzazione pubblica attraverso eventi e iniziative educative.

In Italia, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e il Ministero per la Disabilità, guidati rispettivamente da Matteo Salvini e Alessandra Locatelli, stanno rafforzando il loro impegno per sviluppare un sistema di trasporto pubblico realmente inclusivo, che consideri le esigenze di tutte le persone.

Questo articolo sottolinea l’importanza di un approccio inclusivo e ben coordinato a livello nazionale e internazionale per garantire che i diritti all’accessibilità e alla mobilità siano una realtà per tutti, contribuendo a costruire una società più giusta e accogliente.

Vittoria Montemezzo

La Risiera di San Sabba, situata nella periferia di Trieste, racconta una delle pagine più buie della storia italiana. Originariamente costruita nel 1898 come risiera, durante la Seconda Guerra Mondiale fu trasformata dai nazisti in un campo di concentramento e successivamente in campo di sterminio, l’unico del suo genere in Italia.

Dal 1943, la Risiera divenne il teatro di una brutalità indicibile: qui furono detenuti e spesso uccisi prigionieri politici, ebrei, e civili catturati nei rastrellamenti. Sotto la direzione di Odilo Globocnik, un ufficiale delle SS di origine triestina, il complesso divenne un centro nevralgico per l’eliminazione fisica dei nemici del Terzo Reich.

Nel 1944 fu aggiunto un forno crematorio, utilizzato per lo smaltimento dei corpi e per l’eliminazione diretta dei prigionieri, molti dei quali morirono a causa di gas di scarico, percosse, impiccagioni o fucilazioni. Prima della loro liberazione, i nazisti tentarono di cancellare le tracce dei loro crimini facendo saltare in aria il forno crematorio.

Oggi, la Risiera di San Sabba è un museo e monumento nazionale dedicato alla memoria delle vittime del nazismo. All’interno del complesso, i visitatori possono esplorare la “cella della morte”, le celle di detenzione, le camerate e gli spazi che un tempo ospitavano il forno crematorio e l’obitorio. Questo luogo serve come solenne promemoria degli orrori della guerra e come monito per le future generazioni sulla necessità di vigilanza contro l’odio e la violenza.

Vittoria Montemezzo